Rembrant, l’istinto creativo
Prosegue la mia indagine sul parallelismo tra reggenza runica e vita/opere degli artisti, stavolta è il momento di Uruz, alla quale associo il celeberrimo pittore Rembrandt.
Rembrandt Harmenszoon van Rijn nasceva il 15 luglio 1606 a Leida, nei Paesi Bassi. E’ considerato uno dei più grandi maestri dell'arte pittorica, il genio olandese dell'arte.
Noto per la sua profonda passione per l'arte e la sua dedizione assoluta alla pittura, era un lavoratore instancabile, dedicava lunghe ore al suo studio per perfezionare la sua tecnica e dipinse fino alla morte che avvenne nel 1669. Con questa nota possiamo scorgere da subito una congiunzione alla sua Runa di nascita Uruz, rappresentazione dell’Uro, animale selvatico che simboleggia la grande resistenza fisica e la forza vitale.
Rembrandt era un artista che utilizzava una tecnica pittorica innovativa e non convenzionale, si ostinava a dipingere come gli piaceva e non come la società si aspettava che facesse. La sua tecnica selvaggia, composta da pennellate spesse e visibili dai colori vibranti gli ha permesso di conferire alle opere grande drammaticità e profondità oltre che texture realistiche. L’energia di Uruz è forgiante e da direzionare, dà forma alla realtà e può essere canalizzata per realizzare grandi opere.
La runa Uruz è associata alla forza creativa che plasma: è la manifestazione ma rappresenta anche l’essenza indifferenziata dell’immanifesto che attende di diventare forma.A tal proposito, Rembrandt è maestro indiscusso del chiaroscuro: dei contrasti tra le zone illuminate e quelle in ombra, del rivelare e del celare. Del chiarore che incontrando l’oscurità forma i volumi del disegno.
Sono emblematiche le sue incisioni/acqueforti che suscitano stupore e ammirazione proprio per l’atmosfera ottenuta dai bianchi luminosi, dalle magiche penombre e dai neri pesanti.
La sua potenza creativa traspare nei suoi ritratti e autoritratti caratterizzati da una profonda introspezione psicologica che dall’inconscio sembrano palesare l’anima dei personaggi. (Uruz ci ricorda la presenza dell'inconscio che teniamo nascosto).
Allo stesso modo, le sue rappresentazioni dinamiche di scene bibliche in cui cattura il momento culminante: come ad esempio nell’opera drammatica Sacrificio di Isacco dove sospende la caduta del coltello tra la mano di Abramo e il suolo, oppure ne La lapidazione di Santo Stefanodove ritrae magistralmente la violenza di una folla inferocita contro il martire.
Personalmente, se mi chiedete in che opera rembrandtiana posso scorgere tutta la forza naturale e primitiva di Uruz io vi rispondo Il bue macellato. In questo dipinto, dove in primo piano abbiamo la carcassa di un bue squartato che occupa tutto il quadro, la luce iridescente sembra provenire proprio da esso e tutto intorno la stanza totalmente buia rivela in secondo piano la presenza di una donna che si affaccia alla porta. La nostra visione si sofferma sull’animale, sulla carne che è rappresentata come materia tangibile, formata da pennellate robuste, la pittura sembra grasso, sangue e tendini. […Sono sangue e midollo, ossa, tendini, muscoli, materia viva e vitale e sto a metà fra fuoco e terra, porto in dono la conoscenza e la comprensione della tua carne e delle energie materiche...] cit. Voce della Runa
Il dipinto è scolpito dalla stesura pastosa del colore, l’energia creatrice che genera da una tela vuota il quadro finito.
Il bue macellato rappresenta la sopravvivenza, soddisfa la necessità primaria dell’uomo di sfamarsi e Uruz è indice dei bisogni primordiali. Inoltre il glifo della Runa rappresenta come già esposto all’inizio, il bue primigenio, l’animale possente ormai estinto.
Il corpo fisico che sia di un animale o di un essere umano, è il veicolo per fare esperienza su questo piano e Uruz ce lo ricorda sempre. Anche Rembrandt ce l’ha fatto capire attraverso le opere che ritraggono le lezioni di anatomia Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp e Lezione di anatomia del dottor Joan Deyman.
Il pittore olandese, aveva avuto successo e riconoscimenti in vita come pittore, ma le sue spese eccessive, la sua vita fastosa al di sopra delle sue possibilità e pesanti vicende familiari lo avevano portato alla rovina finanziaria. Per sopravvivere iniziò a vendere all’asta i suoi averi e, infine, arrivò alla bancarotta.
Hendrickje, la compagna di Rembrandt, si spense nel 1663, lasciando il pittore nella solitudine. Cinque anni dopo, nel settembre del 1668, fu la volta di Tito, il figlio. Nonostante le avversità, Rembrandt perseverò nella sua arte e continuò a dipingere.
Morì ad Amsterdam il 4 ottobre 1669, all'età di 63 anni. In quel momento, sul suo cavalletto si trovava un dipinto incompiuto, raffigurante Simeone con il Cristo bambino nel tempio. Quest'opera testimonia il suo talento ancora vitale e la sua ricerca artistica incessante e diventa un promemoria su come ha continuato tenacemente a cercare la bellezza e l'essenza spirituale dell'arte nonostante le sfide e le difficoltà.