La ricerca artistica di Mark Rothko, nato il 25 settembre del 1903 sotto la reggenza della runa Kenaz, è molto vicina alla dimensione spirituale religiosa, non di meno Kenaz è prossima al fare artistico, al creare, alla fucina alchemica, al fuoco spirituale.
Egli è il quarto figlio di una famiglia ebrea trasferitosi nel 1913 negli Stati Uniti. Frequenta fin da piccolo una scuola talmudica per bambini. Mark compie studi regolari e frequenta New York.
Definito uno dei maggiori esponenti dell’espressionismo astratto, insieme a De Kooning, Pollock, Kline, sviluppa un linguaggio astratto del tutto personale non categorizzabile. Rothko ha lasciato scritto e dichiarato molte cose riguardo al suo pensiero sull’arte e sulle sue opere, ho scelto di citare le sue affermazioni in modo da non edulcorare il suo pensiero con inutili interpretazioni.
Litiga con l’arte surrealista e astratta come si litiga con il proprio padre o la propria madre: “Riconosco l’ineluttabilità e la funzione delle mie radici, ma rimango fermo nella mia divergenza rispetto a loro. Sono parte di me ma vivo la mia completezza in totale indipendenza da loro”.
Si esprime: “Non sono un astrattista. Non mi interessa il rapporto tra colore o forma o qualsiasi altra cosa. Mi interessa solo esprimere le emozioni umane di base: tragedia, estasi, rovina e così via."
Facendo riferimento a Kenaz, posso dire che è la Runa fuoco della ricerca, regala chiarezza mentale e fiducia nella propria intuizione guidandoci alla comprensione del cammino personale che ci si prospetta innanzi, quello che abbiamo intrapreso con la Runa precedente Raido. Seguire la propria indagine porta ad essere indipendenti superando il vecchio trasformandolo.
Dichiara: "L’avanzamento del lavoro di un pittore […] andrà verso la chiarezza: verso l’eliminazione di tutti gli ostacoli tra il pittore e l’idea, e tra l’idea e l’osservatore. Come esempi di tali ostacoli, menziono (tra gli altri), la memoria, la storia o la geometria". Questa sua affermazione calza perfettamente con il significato incarnato da Kenaz, ovvero il bruciare quello che non serve più, guardare avanti compiendo un atto di purificazione, di pulizia dalle vecchie memorie, sbarazzare la strada dagli intralci, liberazione dell’energia intrappolata portando guarigione e verità.
Mark infatti inventa un nuovo concetto di spazio pittorico: uno spazio nuovo, del tutto diverso da quello naturalistico e prospettico, uno spazio-colore ipnotico, vibrante, meditativo, contemplativo, evocatore.
Sceglie tele di grande formato (anche di 5x4 mt), lui stesso ne dichiara lo scopo: "Quando uno dipinge un quadro grande ci è dentro". “Dipingo quadri di grandi dimensioni perché desidero creare una situazione di intimità. Un quadro di grandi dimensioni provoca una sensazione immediata che ingloba l’osservatore al suo interno. […] Dipingere un quadro piccolo significa situarsi al di fuori della propria esperienza, significa osservarla attraverso una lente che la rimpicciolisce e l’allontana. Un quadro di grandi dimensioni, in qualunque modo lo si dipinga, permette al contrario di far parte di esso. È ineluttabile.”
Le sue opere sono composte da vibrazioni a due o tre colori, non sono dipinte ma colorate, non c’è stratificazione di colore, è come se la tela fosse imbevuta, il colore ne è la fonte luminosa vibrante. Nelle sue opere gli oggetti perdono consistenza, vengono polverizzati e oltre i confini delle cose restano i piani di colore, non ci sono figure, non ci sono forme, non appaiono pennellate. Solo colore. Kenaz è la torcia che proietta luce che rivela, che illumina e porta alla trasformazione interiore. E' la Runa della creazione. Le sue opere sembrano manifestazioni divine, teofanie, una sorta di rivelazione del "sacro" attraverso l'uso della luce e dei colori. Questa concezione fu implicitamente avallata dallo stesso artista quando affermò che le sue tele "distruggono l’illusione e rivelano la verità".
Anche la verticalità delle sue opere denota una ricerca volta ad una visione del mondo trascendentale, ascetica, di estrema purezza concettuale e formale, derivata da una formazione filosofica e spirituale. "La mia arte non è astratta, ma vive e respira." "I quadri devono essere miracolosi: non appena uno è terminato, l’intimità tra la creazione e il creatore è finita. Questi diventa uno spettatore. Il quadro deve essere per lui, come per chiunque altro ne farà esperienza più tardi, una rivelazione, una risoluzione inattesa e inaudita di un bisogno eternamente familiare."
Quindi la richiesta di Rothko allo spettatore è di grande partecipazione emotiva. Ci troviamo soli nel cercare di condividere la sua stessa ricerca artistica. Kenaz ha a che fare con l’insegnamento, e l’operato di Rothko ci insegna che“Un dipinto non è un'immagine di un'esperienza; è un'esperienza”. E ancora sottolinea: “Non ho mai pensato che dipingere un quadro abbia a che vedere con l’espressione di sé stessi. L’arte è una comunicazione sul mondo diretta ad un altro essere umano. Quando questa comunicazione è convincente, il mondo si trasforma.”
Posso definire le opere di Rothko come capolavori alchemici del suo fuoco interiore, che in tarda età si consuma nel suo dramma di vita purtroppo segnata da una profonda depressione.
Se non saprai controllarmi porterò con me false speranze, testardaggine, arroganza e buio. Sarò ignoranza e chiusura; sarò assenza di chiarezza. Se non vorrai usarmi diventerò rabbioso fuoco interno e mangerò le tue carni fino a consumarti.Cit. Voce della Runa
Se negli anni ’50 assistiamo nei suoi lavori ad un vivace cromatismo ed un dosato equilibrio tra luce e bagliori che inducono alla contemplazione di queste finestre spirituali; più tardi negli anni ’60 si direziona verso un orientamento cromatico sempre più cupo, un buio opprimente, un allontanamento dal Divino, un rifiuto del colore, la perdita di lucentezza, la luce di Kenaz si è spenta.
L’opera perde di verticalità e la parte centrale diventa orizzontale grigio-nera, rimanda alla rigidità, ad una finestra sbarrata. Queste opere sono spia di un latente malessere che lo porteranno poi nel 1970, all’apice del suo successo (l’artista è rimasto pressochè sconosciuto fino agli anni ‘60), a togliersi la vita recidendosi le vene.
Egli non ha l'opportunità di osservare il completamento dell'allestimento delle sue opere più celebri, le grandi tele buie della “sua” Rothko Chapel, situata a Houston, in Texas, una cappella laica fondata da John e Dominique de Menil, in cui diventano delle vere e proprie pale d’altare, icone sacre, enigmatiche, forse comprensibili solo attraverso una totale rinuncia alla ricerca di significato razionale.
La grandezza di Rothko è stata quella di regalarci le potenzialità del colore, la religione della luce. Ha messo in scena la tragedia umana con grande rigore e rispetto per la pittura.
Consiglio a chi non lo conoscesse di visionare le sue opere, anche online, ricordando che le dimensioni reali dei suoi lavori sono notevoli e che solo l’esperienza dal vero puo’ restituirci il senso originale e veritiero della sua eredità.
Fonti bibliografiche:
Mark Rothko, Scritti, Abscondita Editore
Mark Rothko, L’artista e la sua realtà, Skira Editore
Alfred Jensen, Conversazioni con Rothko, Donzelli Editore